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La cronaca porta alla luce un problema diffuso ma tabù, che coinvolge una mamma su 10. 50.000 italiane l’anno soffrono di depressione post partum la SIGO: ‘Trattamento sanitario obbligatorio nei casi gravi’

3 Giugno 2010

Il prof. Giorgio Vittori: “Bisogna cogliere per tempo i campanelli d’allarme, i ginecologi sono importanti sentinelle”. Strade Onlus: “Ogni 12 mesi almeno 1.000 donne potrebbero aver bisogno di questo intervento imposto”

Roma, 3 giugno 2010 – “Alla luce del recente fatto di cronaca che ha visto una giovane madre di Passo Corese (Rieti) uccidere il proprio figlio di pochi mesi proponiamo al Ministro della Salute Ferruccio Fazio di applicare la procedura del TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) extraospedaliero per le donne affette da depressione post partum, a rischio di infanticidio”. E’ questa l’indicazione avanzata dal prof. Giorgio Vittori, Presidente della SIGO (Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia) e dal dott. Antonio Picano, Presidente dell’Associazione Strade onlus e Responsabile del progetto Rebecca per la prevenzione e il trattamento della depressione in gravidanza e nel puerperio. Questa procedura consente di adottare limitazioni della libertà personale per ragioni di cura, all’interno dell’abitazione del paziente. Un’equipe specializzata potrebbe occuparsi continuativamente 24 ore su 24 delle donne con comportamenti potenzialmente omicidi, tutelando così in maniera efficace sia la madre che il figlio. “La depressione post partum – spiega Vittori – si può prevenire e i ginecologi italiani sono impegnati da tempo per diventare ‘sentinelle’”. Ma quali sono i campanelli d’allarme? Per gli specialisti al primo posto si trovano episodi di ansia o depressione durante la gravidanza o una storia personale o familiare di depressione (81%). A seguire, precedenti casi di depressione post partum (78%), isolamento o condizioni socioeconomiche svantaggiate (63%) e problemi con il partner (58%). I casi che richiederebbero un provvedimento di TSO extraospedaliero possono essere valutati, secondo Strade onlus, in circa 1.000 interventi per anno. La depressione post partum colpisce, secondo la letteratura scientifica circa il 10% delle donne, da 50.000 a 75.000 neomamme l’anno nel nostro Paese, con un costo sociale valutato in circa 500 milioni di euro in 12 mesi. “Nonostante questi dati – continua Vittori -, il rischio di sviluppare depressione viene valutato di routine solo dal 30% dai ginecologi durante gli incontri pre parto. Dopo, solo nel 45% delle strutture è previsto un monitoraggio delle mamme ‘a rischio’. E il tempo dedicato all’informazione prima della dimissione è inadeguato per il 72% dei ginecologi”. Dati che la SIGO ha raccolto nel corso di un’indagine promossa fra i propri soci. Su questa base, la Società scientifica ha attivato, già nel 2008, “Non lasciamole sole”, una campagna nazionale con l’obiettivo di costruire una rete di protezione per tutelare soprattutto le donne più fragili.

Il progetto della SIGO ha coinvolto più specialisti: se il ginecologo si afferma come prima figura di riferimento (molto importante per il 63%), rivestono un ruolo chiave anche lo psicologo (59%), l’ostetrica (52%), il medico di famiglia (30%) e il pediatra (24%). “Alla prevenzione deve però immediatamente seguire una presa in carico del problema da parte dei singoli professionisti, un concreto impegno delle autorità nazionali e locali, anche dal punto di vista organizzativo-gestionale e una stretta collaborazione con le donne e i loro familiari – spiega Vittori -, senza esitare. È questa infatti la chiave di volta per evitare che si ripetano episodi drammatici, purtroppo troppo frequenti, che segnano per sempre la vita di chi li subisce”. “La donna affetta da depressione post partum non può essere trattata come una qualsiasi criminale – prosegue Picano -. L’impulso di eliminare il proprio figlio è purtroppo un sintomo tipico e ben conosciuto. Si tratta di una forza estranea alla volontà della persona contro la quale la donna depressa lotta strenuamente e di cui si vergogna profondamente. Non può comunicare a nessuno i suoi pensieri, in particolare al marito, ma anche la mamma o la sorella vengono tenute all’oscuro di questo dramma. Oggi non esiste una protezione reale per il bambino e per la donna. Non basta infatti come per la mamma di Passo Corese, ottenere una corretta diagnosi e una terapia farmacologica per salvare un bambino dalla defenestrazione e una donna dal dramma e dal carcere. Sono necessarie delle attenzioni particolari per la paziente che ha una condizione a rischio e il bambino deve essere tutelato esplicitamente”.

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