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Si è chiuso a Catania il Congresso SIOG con oltre 400 esperti

8 Luglio 2010

I presidenti delle più importanti Società scientifiche: La formazione specifica migliora la prognosi delle pazienti, ma nel nostro Paese non esiste un adeguato percorso

Roma, 8 luglio 2010- Contro il tumore dell’ovaio, così come per gli altri tumori ginecologici, è determinante intervenire con una chirurgia mirata e completa, ma in Italia sono ancora troppo pochi gli specialisti in grado di eseguire correttamente questa operazione. Investire nella formazione è una priorità afferma il prof. Giorgio Vittori, presidente della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO), che raccoglie e rilancia il forte monito emerso a Catania nel corso del XXII Congresso Nazionale di Oncologia Ginecologica (SIOG), presieduto dal prof. Paolo Scollo -. L’Italia si deve allineare agli standard europei, con curricula di formazione specifici per i medici e le strutture, in modo che la paziente sappia con certezza che si rivolge a un centro adeguato. Vanno ridefiniti gli standard assistenziali in ginecologia oncologica: per ora riusciamo a colmare questa lacuna grazie alla perizia dei singoli professionisti, animati soprattutto dall’interesse personale, ma è ormai indispensabile un idoneo inquadramento accademico. In caso di neoplasia dell’ovaio avanzata, ad esempio, una buona chirurgia primaria che non lasci residui tumorali permette alla chemioterapia successiva di mantenere la paziente libera dal cancro per 5 anni in circa il 50% dei casi. Le Istituzioni devono far sì che l’Italia si adegui alle eccellenze internazionali. L’appello è lanciato con decisione dai presidenti delle più importanti Società scientifiche uniti: oltre a Vittori (SIGO) e Scollo, il prof. Massimo Franchi (presidente SIOG), la prof.ssa Nicoletta Colombo (presidente eletto ESGO), il past president dell’AOGOI prof. Carlo Sbiroli, il presidente dell’AGUI prof. Massimo Moscarini, il presidente dell’Aifa e Direttore della Clinica Ostetrico-Ginecologica dell’Università di Brescia prof. Sergio Pecorelli. La ricetta emersa dal Congresso di Catania si ispira a esperienze consolidate ed è forte dell’evidenza scientifica: “La buona formazione degli operatori ha lo stesso effetto sulla prognosi della paziente di un farmaco, è una variabile fondamentale collegata alla efficacia della cura – spiegano Scollo e Vittori -. La stessa cosa vale per le strutture: devono possedere i requisiti necessari. Quali modelli utilizzare in Italia? Ad esempio quello inglese, che prevede una periodica rivalutazione e rivalidazione per tutti i medici. In Australia e Nuova Zelanda Il Royal Australian College of Obstetricians and Gynaecologists ha intrapreso un programma di ricertificazione con cadenza periodica triennale. Negli USA la soddisfazione del paziente e la valutazione dei colleghi (peer review) costituiscono una fase essenziale di questo processo. Non si può attendere oltre. Senza una diversa organizzazione e formazione – concludono gli esperti – saremo fuori dagli standard europei ed internazionali.

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