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SIGO denuncia la condotta di alcuni studi legali che speculano sull’emergenza

27 Marzo 2020

“È il momento della responsabilità e della coesione sociale. Bisogna sostenere la classe medica, in prima linea nella lotta contro il Covid-19”

Roma, 27 marzo 2020 – La Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) esprime il proprio disappunto per la condotta, ritenuta inaccettabile, di alcuni studi legali che, anche in questa fase di drammatica emergenza sanitaria, continuano a pubblicizzare in maniera deplorevole le azioni legali nei confronti di medici e personale sanitario, promuovendo il versamento dei compensi solo in caso di effettivo risarcimento. Ciò anche in riferimento a ipotesi di infezioni ospedaliere, sfruttando in modo disdicevole il momento storico che stiamo vivendo.

“Condanniamo con forza la condotta di questi studi legali che insultano il ruolo che la classe medica sta svolgendo per fronteggiare l’emergenza e i rischi che tutti i professionisti sanitari assumono ogni giorno in favore della intera comunità. Questi slogan suonano come una indiscriminata chiamata alle armi contro la classe medica che, mai come in questo momento, andrebbe sostenuta e difesa a più voci”, afferma il Prof. Antonio Chiàntera, Presidente SIGO.

“La delicatezza e la complessità dell’assistenza legale, così come il ruolo sociale dell’avvocato, non possono essere mercificati – prosegue il Presidente Chiàntera –. È necessario intervenire in maniera decisa per arginare e combattere questo fenomeno. Invitiamo pertanto il Consiglio Nazionale Forense e tutti i Consigli dell’Ordine locali a prendere provvedimenti contro situazioni di questo tipo affinché rimanga inalterata la coesione sociale tra medici e pazienti. Ne va delle sorti del Paese”.  

La SIGO ricorda che, oltre a costituire un grave oltraggio all’impegno dei medici italiani, le modalità utilizzate per pubblicizzare le azioni di rivalsa nei confronti dei professionisti sanitari sono offensive anche per la stessa classe forense. Il Consiglio Nazionale Forense ha censurato tali condotte, come disposto dall’art. 17, comma 2, del Codice Deontologia Forense (CDF), secondo il quale: “le informazioni diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche informatico, debbono essere trasparenti, veritiere, corrette, non equivoche, non ingannevoli, non denigratorie o suggestive e non comparative”.

Inoltre, l’articolo 35, comma 1 e 2 del CDF prevede che: “l’avvocato che dà informazioni sulla propria attività̀ professionale, quali che siano i mezzi utilizzati per rendere le stesse, deve rispettare i doveri di verità̀, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, facendo in ogni caso riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale. L’avvocato non deve dare informazioni comparative con altri professionisti né equivoche, ingannevoli, denigratorie, suggestive o che contengano riferimenti a titoli, funzioni o incarichi non inerenti l’attività̀ professionale”.

A ciò si aggiunge l’articolo 37, comma 1, ove è previsto che: “l’avvocato non deve acquisire rapporti di clientela a mezzo di agenzie o procacciatori o con modi non conformi a correttezza e decoro”.


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