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Carlo Flamigni: il ricordo dei suoi allievi Carlo Bulletti, Eleonora Porcu, Luca Gianaroli

Carlo Flamigni 4 febbraio 1933 – 5 luglio 2020

1.   Ossatura di un carattere

Carlo Flamigni: Cogito ergo sum. Ha letto quotidianamente ogni giorno fino a tarda notte. E quando non  leggeva, scriveva. Fino a sabato sera… Libero pensatore che con la sua schiettezza tagliente è sempre stato escluso dai cerchi magici. Consapevole della sua irrinunciabile natura, ha sempre reiterato il proprio indomito carattere non adeguandosi alla sopravvivenza secondo Rousseau negli ambiti sociali più ambiti, ma interpretando ruoli che venivano dettati esclusivamente dalla sua mente. La sua vita potrebbe sintetizzarsi con un aforisma attribuito a Friedrich Nietzsche “la vita è un circolo vizioso che fa la natura per giungere a tre o quattro amici”. L’amicizia va però qui meglio definita – come Carlo Flamigni amava intenderla –  e come me l’ha fatta conoscere attraverso la definizione del vocabolario filosofico di Voltaire “È un tacito contratto fra due persone sensibili e virtuose. Dico «sensibili», perché un monaco, un solitario, possono non essere affatto insensibili, e tuttavia vivere senza conoscere l’amicizia. Dico «virtuose», perché i malvagi non possono avere che dei complici; i dissoluti, dei compagni di bagordi; le persone interessate, dei soci; i politici si circondano di partigiani faziosi; la massa degli sfaccendati ha delle conoscenze; i principi hanno attorno a loro dei cortigiani: solo gli uomini virtuosi hanno amici. Cetego era il complice di Catilina; e Mecenate, il cortigiano di Ottaviano; ma Cicerone era amico di Attico.

Carlo Flamigni è stato accompagnato nella vita da estimatori della sua autorevolezza, dalla classe con la quale egli la esercitava senza declinazioni autoritarie ma anche da una moltitudine di cortigiani che si sono fregiati della conoscenza dell’uomo per abbandonarlo alle prime difficolta dileguandosi come lacrime nella pioggia. Per poi rivederle effigiarsi dei titoli di amici o allievi  o discepoli ecc alla bisogna. Opportunismo di maniera di cui Carlo Flamigni è però sempre stato lucidamente consapevole. Chiamando i suoi Attico ed i Suoi Cicerone il giorno prima della dipartita. Io stesso ho sentito che chiamava un suo grande amico da sempre e di sempre, Ettore Cittadini, eppoi alcuni altri. Ma per documentarne il senso e la profondità dell’uomo nel momento del distacco mi permetto di riportare due capoversi di un altro suo amico -Maurizio Mori – cosi come li ha scritti sul Giornale della Consulta di Bioetica.

Carlo mi ha concesso un privilegio raro, rarissimo, che racconto perché mette in luce un aspetto del modo di essere di Flamigni che merita di essere valorizzato: salutare gli amici è gesto meraviglioso che manifesta la volontà di non lasciare nulla in sospeso e, in qualche modo, di trasmettere continuità. Nel saluto c’è sempre un messaggio di vita, e con la sua ultima telefonata Flamigni ha voluto fare molto più che salutarmi: ha voluto continuare i tanti discorsi, le tante riflessioni, le tante iniziative fatte insieme. Quel saluto è il commiato del saggio che ha capito che l’esistenza è giunta a compimento, e che lascia agli altri il testimone. Quel saluto vuole essere un contributo originale all’elaborazione di una nuova ritualità secolare per la chiusura dell’esistenza: nel mondo secolarizzato siamo alla ricerca di nuove simbolizzazioni, e Flamigni ha gettato una pietra in quella direzione.
Quel saluto ha mostrato che l’autonomia individuale da sempre sostenuta da Flamigni non è affatto solipsista e egotista (come dicono i critici), ma è aperta alla socialità, agli altri e alle generazioni. Questo era Flamigni: una personalità autentica capace di scrutare i meandri del gran fiume della vita; un grande scienziato tenace a sostenere il “dubbio organizzato” di Merton; un cittadino impegnato nella vita pubblica a sostenere la giustizia sociale a tutti i livelli; un grande umanista dalla cultura sterminata in campo letterario, storico, sociale.”

2.   Scienziato

Capì l’importanza della endocrinologia della riproduzione fin da quando era assistente del Prof Quinto nell’università di Bologna e dopo alcune collaborazioni con Ian Somerville in Inghilterra avviò un laboratorio di avanguardia con il suo chimico ed amico Gianfranco Bolelli ed un gruppo di tecnici e collaboratori. La riproduzione umana fu il perno della sua intiera esistenza scientifica ma con essa anche quella dei diritti delle donne prima e dei temi sensibili di una società in espansione ed in  rinnovamento quale quella degli anni 70 d 80. Basti citare le lotte per la 194 e quelle sulla legge 40.
Con un gruppo di collaboratori avviò una equipe  di rilevanza internazionale, produsse una mole incredibile di lavori scientifici nella finalità primaria di un avanzamento delle conoscenze ed un miglioramento delle performances di soddisfazione ai bisogni di salute delle donne e non meramente per un aumento del proprio H index. In laboratorio a quei tempi si lavorava giorno e notte con cromatografie in fase liquida e solida a ritmo continuo. I dati erano il mangime del gruppo. Corrado Melega, Valerio Maria Jasonni, Stefano Venturoli, Carlo Bulletti, Marco Filicori, Luca Gianaroli, Annapia Ferraretti, Raffaella Fabbri, Andrea Borini, Eleonora Porcu, Renato Seracchioli, Patrizia Ciotti ed altri almeno 60 collaboratori scrissero pagine di valore internazionale pionieristico capaci di mutare le procedure delle pratiche di diagnosi e cura della sterilità di coppia.
Amico di Bob Edwards e di Georgeanna Seegar Joones ed Howard Jones preparò una mappa dell’espansione della disciplina negli anni che sarebbero seguiti.

Fu presidente della Società Italiana di Fertilità, Sterilità e Medicina della Riproduzione (SIFES-MR) dando lustro alla più antica Società Scientifica di Riproduzione Umana del Paese a cui appartennero tutti i maestri della disciplina da circa 60 anni. Fino ad oggi, con la presidenza di Filippo Ubaldi. Non volle fare parte di altre Società Scientifiche del settore quando gli furono offerte: nella SIFES.MR aveva gli amici ed i suoi discepoli, là un gruppo di persone per bene ma a lui non intimamente note per le finalità delle iniziative con le quali lo volevano sempre più spesso coinvolgere.
Componente del Comitato Nazionale di Bioetica prese parte a numerose battaglie su punti caratterizzanti i temi sensibili dei diritti della persona lottando per principi di laicità e di una morale laica non subalterna a nessun altra.

3.   Maestro

Medico impareggiabile e maestro vero insegnava con lezioni frontali , al letto delle pazienti e per i corridoi con i propri comportamenti oltre che con le sue dotte disquisizioni. Difficile camminare in corsia con lui senza sapere ogni aspetto della steroidogenesi.
Lottava per i diritti delle donne e per migliorare la loro condizione sociale oltre che medica.
Insegnò a coniugare scienza ed uso compassionevole della conoscenza, escludendo l’attribuzione di un valore alla prima senza l’implicita coesione alla seconda. Era contrario alla interpretazione dei ruoli sanitari intesi come ruoli primari a cui chi non aveva conoscenza doveva sottomettersi come secondario.L’uso compassionevole dell’arte medica non aveva mediazioni possibili con l’affermazione del potere tecnico-scientifico. Neanche laddove le aziendalizzazioni degli ospedali avevano portato ad esasperare le produzioni quantitative, penalizzando le attenzioni umane.
Ha amato intensamente la sua famiglia, i figli Cristina e Carlo Andrea e la moglie Marina.
Lascia una eredità immensa, culturale, umana e personale.
Personalmente mi mancheranno le sue telefonate quotidiane con le sollecitazioni continue a scrivere, a riflettere, a ricercare, a dibattere. E mi mancheranno i suoi insegnamenti che mi hanno arricchito come persona. Qui voglio citarne solo uno “Carlo non bisogna avere acredini e tanto meno odiare, non già perché non esista qualcuno che non lo meriti, quanto perché odiare ci riduce, ci rende peggiori, uomini di scarso spessore …in altre parole ci esclude dall’essere persone per bene”.

Carlo Bulletti

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Il Professor Carlo Flamigni era un bravo insegnante, non dimenticherò mai le sue lezioni.
Feci con lui la mia tesi di laurea in medicina sul dosaggio radioimmunologico degli ormoni steroidei nel plasma.
Ho continuato a studiare gli ormoni riproduttivi tutta la vita e sono grata al Professor Flamigni per avermeli fatti conoscere ed amare.

Eleonora Porcu

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AL MAESTRO, AL RICERCATORE, ALL’UOMO

IL MAESTRO E LE LENZUOLA

Sala operatoria di un giorno qualunque di uno degli anni ottanta. La paziente a cui sto facendo il pneumoperitoneo è una paziente del Prof che devo chiamare nel momento in cui introduco l’ottica: ho fretta, è la terza della lista e so che dopo lui ha consiglio di facoltà. Allora si guardava direttamente nel telescopio perché di telecamere e monitor non c’era neanche l’ombra. Pelvi congelate, aderenze dappertutto, impossibile vedere l’utero e gli annessi.
Ecco perché cercava figli da anni senza poterli avere… oh, se tutte le pazienti facessero la laparoscopia, quanta ansia e quanti inutili terapie potremmo risparmiare alle donne!
Il Prof arriva e gli illustro il quadro. Lui guarda attraverso il telescopio secondo me qualche secondo in più del dovuto: strano, più chiaro di così… e dice: “Bene Gianaroli, parlo con la paziente e il marito e poi la operiamo insieme”.
Nel giro di qualche settimana, della paziente si vede solo la striscia di cute su cui il Prof stava facendo una insolitamente piccola incisione trasversale. Gli ricordo cosa avevamo visto qualche settimana prima nella speranza che allunghi il taglio ma da sotto il mascherone, attraverso i suoi occhi, si stampa quel sorriso ironico che lo aveva già reso famoso. Le forbici incidono con sicurezza, per me eccessiva, il peritoneo che le due pinze chirurgiche nelle mie mani dovrebbero distanziare dalle anse intestinali (ma non necessariamente dal mare di aderenze viste alla laparoscopia) e… appare una cavità addominale perfetta, senza la minima aderenza, da manuale di anatomia del Cattaneo.
Lo guardo, i suoi occhi non sono più l’espressione del sorriso ironico, ma emettono la energia del Maestro: “vedi Gianaroli, il chirurgo più bravo è quello che sbaglia meno, e quello che sbaglia meno è il chirurgo che non sta tra le lenzuola (o le fasce muscolari). Fai il test di pervietà tubarica, finisci tu. Ci vediamo dopo”.


IL RICERCATORE E LA GRAMMATICA ITALIANA

Ai congressi il Prof non aveva vie di mezzo: o era attentissimo e interessato o annoiato a morte. E per uccidere la noia usava tutte le sue armi letali: sarcasmo, ilarità, dileggio per quel malcapitato che in quel momento era diventato il volatile uscito dalla gabbia a cui il Re Sole doveva sparare per allontanare il vero nemico: la noia.
Il congresso aveva una audience limitata, e la tavola rotonda con lui, l’andrologo Armando Maver e i due ospiti locali, le cui conoscenze della materia erano scarse, si stava spegnendo nella noia.
Purtroppo (per lui) uno dei due ospiti locali pure lui andrologo (anzi, secondo il Prof pure peggio: andrologo endocrinologo) comincia a elencare i pregi dell’endocrinologia andrologica. Dal torpore generale si sveglia Armando Maver che rilancia anche il ruolo dell’andrologo chirurgo. Nella foga della discussione i due andrologi finiscono nel vicolo cieco dell’importanza dell’ipofisi nell’infertilità maschile. Le argomentazioni agli occhi del Prof appaiono subito rozze e dopo qualche pseudo formale scambio di battute, il Prof si rivolge ad Armando Maver sibilandogli attraverso il microfono acceso: “Armando, tu non sei un andrologo, sei un gerundio!”
Cinque secondi di silenzio e cinque minuti di risate: lui si alza e se ne va (e io dietro!).


L’UOMO E LE PROFEZIE

Romagnolo, di quella romagnolità di cui solo i romagnoli possono farsene carico e di cui solo loro sono in grado di gestire il corso ed il gran finale.
Alla fine degli anni ottanta, il Prof litigò furiosamente con me. In realtà per litigare bisogna essere in due ma se chi litiga è il tuo Maestro, il tuo direttore, la persona a cui hai affidato la tua carriera e la tua vita professionale, esiste un litigante e un litigato uno cioè che subisce la lite cercando, da sdraiato, di difendersi come può. Non ho mai capito bene perché avesse deciso di eliminarmi dai suoi discepoli e dalla sua vita, ma… Era tutto finito.
Una delle ultime frasi che sentii da lui prima di accettare l’incarico nella università di Ginevra fu “non vedrai mai più una coppia sterile, te lo garantisco”.
Dopo una decina di anni, durante i quali non avevo mai voluto credere che non ci fosse un motivo valido e serio (almeno per lui) per essere stato abbandonato, ricominciai a cercarlo per gli auguri di Natale e per gli auguri del suo compleanno. Lo incontravo ai congressi dove “alla pari” eravamo relatori e dove andavo per ascoltarlo. Erano sempre incontri o telefonate brevi, ma traspariva la sensazione che avremo potuto entrare in sintonia anche per non lasciare aperta una strana ferita. In una di quelle telefonate gli ricordai, forte della recente carica di presidente eletto dell’ESHRE, di quella sua frase. Il suo romagnolo commento fu: “quelli che azzeccano tutte le previsioni sono dei profeti, non degli accademici o dei bravi medici…”
Il Prof Flamigni per me? ha impersonato e probabilmente tuttora impersona la medicina della riproduzione. Una questione di salute (anche mentale), e di vita.

A dopo, Prof.

Luca Gianaroli

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